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  • : Urban Pvs esperienze urbane in paesi in via di sviluppo Come sono le città nei Paesi del Terzo Mondo? Come sono organizzate? Quali sono le problematiche? Come vengono affrontate? Questo blog vuole essere uno spazio dedicato a quanti si occupano e si interessano dei problemi urbani e sociali nei paesi in via di sviluppo.
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Come sono le città nei Paesi del Terzo Mondo? Come sono organizzate?

Quali sono le problematiche? Come vengono affrontate?
Questo blog vuole essere uno spazio dedicato a quanti si occupano e si interessano dei problemi urbani e sociali nei paesi in via di sviluppo.


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La redazione del  piano urbanistico per lo sviluppo di Mekelle, la sesta più grande città dell’Etiopia, è l’occasione per volgere l’attenzione allo stato della pianificazione urbana agli inizi del 21° secolo in un PVS, focalizzandosi non tanto sulle metropoli, casi puntuali che quasi costituiscono Paesi a sé stanti, ma su quelle cittadine di medie dimensioni che cercano di proporsi come alternativa alla grande città. La veloce espansione urbana; la scala delle priorità nella realizzazione dei  servizi; l’introduzione di strumenti di regolamentazione e controllo del regime dei suoli e della densità edilizia; il confronto con il patrimonio storico all’interno del dibattito fra identità e urbanizzazione; le aspirazioni e le scelte strategiche per la città e il suo possibile ruolo nel panorama nazionale e internazionale sono alcune delle tematiche affrontate.

Il racconto di questa esperienza diventa anche spunto di riflessione all’interno del dibattito sulle attuali variegate esigenze delle nostre città multi-etniche, spostando l’attenzione sui luoghi di provenienza degli immigrati. Si intende in tal modo stimolare una riflessione più approfondita sulle problematiche delle città nei paesi in via di sviluppo, sulle difficoltà di inserimento culturale di quanti provengono da questi paesi e apprezzare quello che le nostre città sono attualmente in grado di offrirci.

 

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Estratto dalla prefazione L’esperienza del “piano” di Daniele Pini

 

Nell’ultimo decennio si è rafforzata la tendenza a “territorializzare” gli interventi della cooperazione allo sviluppo, tradizionalmente concentrati sulle principali emergenze sociali – ad esempio la sanità – sulle infrastrutture o sui settori strategici dell’economia – dall’agricoltura all’artigianato alla piccola e media industria. In questo quadro, le città e le reti di città sono diventate non solo l’ ambito privilegiato per programmi tesi a promuovere lo sviluppo locale, a stretto contatto con le comunità locali e con progetti “intergrati”, ma anche oggetto di programmi specificamente rivolti al governo del loro sviluppo e delle loro trasformazioni interne.

(…) Le problematiche della pianificazione urbana rivestono così un’importanza sempre più rilevante nelle politiche degli organismi internazionali della cooperazione allo sviluppo e dei governi nazionali, che, se da un lato affrontano queste questioni con progetti tesi per lo più al miglioramento delle infrastrutture e dei servizi municipali ovvero delle condizioni abitative negli slum più degradati, dall’altro, tentano di allentare la pressione dell’inurbamento e di mitigare la cosiddetta “urbanizzazione primaziale” nelle città principali, rafforzando il ruolo e le funzioni dei centri urbani secondari.

E’ così anche in Etiopia dove, a partire dagli anni ’80, il processo di urbanizzazione si è intensificato anche per il susseguirsi di grandi carestie, e dove una politica di crescita delle città di media e piccola dimensione viene promossa per creare alternative all’inurbamento verso la capitale e per diffondere processi di sviluppo nel resto del Paese. In questi centri, se i fenomeni legati all’abbandono delle campagne e all’espansione degli slum assumono dimensioni meno drammatiche rispetto alle grandi città, sono spesso presenti attività economiche e patrimoni culturali di grande rilievo per il Paese e, soprattutto, sembrano presentarsi condizioni più favorevoli per pianificare e governare con maggiore efficacia ed equità lo sviluppo urbano. Inoltre, la dimensione relativamente ridotta degli agglomerati e la minore complessità delle strutture e delle funzioni urbane rendono più praticabile un approccio olistico e integrato ai diversi temi della pianificazione, che consideri la città nel suo complesso, intrecciando la dimensione spaziale e fisica con quella dello sviluppo locale.

 

Il libro di Erica Lucchi, “Mekelle e il suo Structure Plan”, ci offre il resoconto “dall’interno” di un’esperienza di pianificazione condotta su questi presupposti. Mekelle è una città di medie dimensioni, la sesta dell’Etiopia, la capitale del Tigray: una città che storicamente è stata pretendente al ruolo di capitale del paese e che ha conosciuto, negli ultimi decenni, un rapido sviluppo urbano favorito dal clima politico benevolo nella regione.

 

Le prospettive di una ulteriore espansione per effetto della pressione demografica, hanno indotto il governo locale a dotarsi di un Ufficio di Pianificazione per controllare questo processo, rafforzando non solo il ruolo di capitale regionale della città, ma ponendo in qualche modo il suo sviluppo in competizione con Addis Abeba, la capitale del paese, assunta come termine di riferimento.

Lo Structure Plan assume quindi la scelta di uno sviluppo fondato sull’industrializzazione, ponendo in secondo piano altri settori quali l’agricoltura, e propone una visione di Mekelle come “città per tutti”, dove si intendono ridurre gli squilibri prodotti da una crescita urbana incontrollata e offrire opportunità lavorative, servizi e infrastrutture alla popolazione più povera di recente inurbamento. Dall’intreccio tra gli obiettivi di sviluppo economico-sociale e gli obiettivi di ordine spaziale e funzionale, discendono alcune scelte fondamentali che comportando una radicale trasformazione della struttura urbana. Tra queste:

- l’abbandono di un modello di espansione radiocentrico attorno al nucleo storico centrale, con la creazione di due nuovi sub-centri che consentano il decentramento delle funzioni amministrative e dei servizi;

- lo sviluppo di una ipotesi di assetto urbanistico che favorisca una politica di riduzione delle povertà nelle periferie, facendo leva sulla solidarietà fra i diversi strati sociali e ponendo particolare attenzione ai temi dell’emergenza abitativa e del rafforzamento delle infrastrutture e dei servizi, in primis i trasporti.

In questo quadro, vengono formulate interessanti proposte di nuovi modelli insediativi, che puntano sull’integrazione tra l’abitazione, le attività commerciali e i servizi e sull’avvio, nel contempo, della regolarizzazione dei quartieri informali.

Tuttavia, al di là delle scelte urbanistiche, in questo resoconto, sono di particolare interesse alcuni aspetti che mettono in luce le potenzialità, ma anche le contraddizioni e i limiti di questa esperienza. Da un lato, l’autrice evidenzia l’importanza del coinvolgimento della popolazione e dei possibili stakeholders nei progetti di riqualificazione urbana, in particolare in alcune aree strategiche della città, dove è stato messo a punto un interessante sistema di partnership pubblico-privato. Viene sottolineato anche il ruolo di stimolo e arricchimento culturale svolto dalla locale facoltà di architettura appena istituita e l’apertura dell’Ufficio di Piano a stranieri e a tecnici provenienti da altre aree del Paese, che hanno portato il contributo di visioni innovative per la città. Per altro verso, il libro evidenzia come tutto ciò non abbia potuto impedire che si affermassero scelte e soluzioni completamente avulse dal contesto e prive di una qualsiasi fattibilità, eppure decise in nome di una malintesa volontà di modernizzazione e rappresentatività.

 

La conclusione è amara, ma non priva di speranza. L’esperienza condotta all’interno dell’Ufficio di Piano ha convinto l’autrice che il “piano urbanistico” sia uno strumento normativo del tutto inadeguato per governare la crescita e le trasformazioni di una realtà urbana che vede raddoppiare, se non triplicare, la popolazione in 15 anni: le tecniche e i tempi di elaborazione lo rendono indubbiamente incapace di registrare ed interpretare i cambiamenti con sufficiente rapidità ed efficacia. Al tempo stesso però l’istituzione dell’Ufficio e il lavoro di preparazione del piano hanno fornito un’occasione straordinaria e, in un contesto come quello di Mekelle, unica, per conoscere la città, analizzarne i problemi, discuterne le prospettive. Ecco allora che il piano, come “narrazione” della città, costruito coinvolgendo la popolazione e i diversi operatori pubblici e privati, può diventare uno strumento “politico” capace forse di offrire, pur con tutti i suoi limiti, un quadro di riferimento utile per adottare, con la necessaria consapevolezza, le scelte che interessano tutta la collettività.

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