“La città di Massaua è costruita su una coppia di isole nel Mar Rosso. Le sue origini sono sepolte nella preistoria, un’epoca buia che colma il divario tra la geologia e la storia, tra il Pliocene e le testimonianze scritte. La popolazione probabilmente è vissuta qui fin da prima che gli umani fossero veramente umani. La storia della città è lunga quanto la storia stessa. Era perfino un porto prima dell’ascesa degli Egizi dal volto rasato o dai Mesopotami con la barba folta.
(…) Geograficamente la città era collocata a un crocevia tra il Mediterraneo, le lunghe coste dell’Africa e dell’India. Nel corso del tempo diventò un crogiolo di culture, grazie a commercianti che portavano con sé le loro divinità, pantheon costruiti intorno a dei come Zeus, Mithras, Krishna, e gli Ebrei monoteisti con il loro unico Dio Jahvè. (…) Quando l’intera costa orientale dell’Africa era dominata dagli sceicchi e dagli emiri, Massaua venne chiamata la “Perla” del Mar Rosso. Le sue banchine erano bordate di dhow e l’appello del muezzin poteva essere ascoltato anche dai pescatori in alto mare. Nei suoi giorni di gloria fu la terra delle mille e una notte: passeggiare in mezzo ai suoi souk era come passeggiare tra i versi di una poesia. All’epoca, prima degli italiani, faceva parte della dinamica comunità di mercanti che commerciavano con gli arabi del Golfo, il mediterraneo e il Mar Nero, l’India e l’Africa Orientale. La dominazione di questi commercianti musulmani isolò gli altopiani dell’Etiopia e dell’Eritrea dal mondo cristiano per secoli, durante i quali Massaua presidiava con fierezza le onde del Mar Rosso, con l’Africa a fare da sfondo.
Ora i tempi sono cambiati. I suoi edifici sono ruderi. La sua mescolanza etnica, unica nel suo genere, è svanita. I profughi degli altopiani hanno occupato i ruderi. Per la prima volta nell’arco di un millennio, Massaua non è assoggettata a un governo dell’entroterra.
(…) Mentre attraversiamo i sobborghi in prossimità della costa sulla terraferma, gli edifici che ci circondano sono una brutta copia degli antichi splendori. Le case e le moschee erano ridotte praticamente a nulla. La strada era costeggiata di rovine e ogni parete era butterata pesantemente come se un virus purulento avesse fatto scempio del tessuto urbano.
A dispetto della disperazione sopravviveva la speranza. Ai margini della città un’insegna verniciata da poco spiccava in mezzo alle macerie. L’insegna era in bianco e nero con delle lettere rosse e violacee che dicevano “Coca-Cola ti dà il benvenuto a Massaua”.”
Da “Ciao Asmara” di Justin Hill ( traduzione di Catia Lattanzi), FBE Edizioni, 2005, pagg.89-91