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  • : Urban Pvs esperienze urbane in paesi in via di sviluppo Come sono le città nei Paesi del Terzo Mondo? Come sono organizzate? Quali sono le problematiche? Come vengono affrontate? Questo blog vuole essere uno spazio dedicato a quanti si occupano e si interessano dei problemi urbani e sociali nei paesi in via di sviluppo.
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Come sono le città nei Paesi del Terzo Mondo? Come sono organizzate?

Quali sono le problematiche? Come vengono affrontate?
Questo blog vuole essere uno spazio dedicato a quanti si occupano e si interessano dei problemi urbani e sociali nei paesi in via di sviluppo.


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18 agosto 2011 4 18 /08 /agosto /2011 14:07

Nella prima fase della colonizzazione, che va dal 1889 all’inizio del Novecento, Asmara non si configura ancora come una città, in quanto è essenzialmente un insieme di edifici sparsi e vari nuclei abitativi. La capitale dell’Eritrea è solo la sede burocratica della colonia, anche se dal 1890 sorgono i primi edifici di tipo occidentale che hanno l’aspetto di villini e sono adibiti ad uffici del comando militare. Questi villini si trovano ad ovest del villaggio eritreo, nel luogo dove, all’inizio del secolo, verranno creati i giardini del Palazzo del governatore. Dall’inizio del Novecento, però, prende l’avvio un vero sviluppo edilizio e prende corpo il tentativo di far abbandonare ad Asmara l’aspetto di villaggio, per darle un’immagine di capitale.

  A partire dagli anni Venti, Asmara avvia il suo processo di mutamento in città «italiana». La ricerca di un modello residenziale adatto alle colonie è legata alle informazioni che arrivano dall’Italia, attraverso i nuovi residenti o i cronisti che giungono a visitare la città. Così, quasi improvvisamente, la questione dello «stile» della casa in colonia viene affrontata anche ad Asmara. Molti degli esempi caratterizzanti le architetture di questa fase edilizia si trovano fra le tipiche ville e villette asmarine dall’aspetto pittoresco, talvolta dall’impianto rinascimentale, ma adornate da torrette, aperture a bifore o trifore e colonne corinzie.

Il 9 maggio Mussolini proclama la nascita dell’impero: l’Eritrea, e in particolare Asmara, ricevono un interessamento economico ed edilizio da parte delle istituzioni italiane, ma è bene ricordare che a usufruire di questo sviluppo sono soprattutto gli italiani. Infatti, vige uno stato di segregazione che si ripercuote anche sull’urbanistica e sull’architettura. La città continua ad essere divisa in tre zone: europea, mista e per indigeni.

Nel giro di tre anni la zona europea raddoppia la sua estensione allargandosi verso sud. Ciò che più meraviglia è sia la velocità di queste operazioni, sia il modo e lo stile scelto per la «nuova Asmara», poiché, abbandonate quasi totalmente le facciate rosso mattone, si ridisegna una città dalle linee semplici e razionali in totale affinità con lo spirito del tempo. Il razionalismo, che non riesce ad imporsi in Italia come architettura di Stato, trova nelle colonie la possibilità di esprimersi più liberamente. Esso viene esportato insieme ad un’idea di latinità che trova origine nelle colonie del Mediterraneo. La definizione di uno

stile coloniale è così dominata dalla ricerca di quello che viene definito «spirito mediterraneo». Questa è la proposta italiana per un’architettura moderna che ha anche come scopo la conquista di una nuova supremazia dell’Italia nel panorama internazionale

Nelle nuove abitazioni, rispetto alle ville costruite prima del 1936, il tetto a falde è sostituito da un tetto piano spesso a terrazza, mentre i mattoni a facciavista dei prospetti sono sostituiti da pareti intonacate. È introdotto l’uso di pilotis, porticati e superfici curve, talvolta c’è anche un tentativo di introdurre finestre a nastro. Mentre in Italia ci si interroga su come dovesse essere rappresentata un’architettura fascista e moderna e il dibattito rimbalza dalle pagine delle riviste alle mostre d’arte e d’architettura, ad Asmara si costruisce. La lontananza della colonia sembra essere in questo caso un fattore positivo, almeno per quanto riguarda la velocità e la quantità delle opere realizzate, poiché non esiste un reale controllo da parte dell’Italia.

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